Campionato o Champions, è proprio un povero Diavolo. Non più grande come nei comizi di Berlusconi, e non ancora così provinciale come, a volte, servirebbe. Una pericolosa via di mezzo. L’Anderlecht ha portato via da San Siro un pareggio che non si presta a reclami faziosi. E così il Milan, come l’Inter, continua a non vincere in casa. Sampdoria e Atalanta durarono novanta minuti; la squadra belga, quarantacinque: merito del Milan, sì, ma non solo.
Allegri plaude alla «verginità » della difesa. Contento lui. Ignoro quanto potranno dargli Montolivo, Robinho e Pato (Pato?): non sono rotelle periferiche, non sono fenomeni. Il Milan è questo: in assenza di un regista, o di un plausibile surrogato, il gioco nasce per episodi e non da idee. Inoltre, un centravanti come Pazzini giustificherebbe più cross: nella ripresa, per esempio, qualcosa si è mosso. Qualcosa e qualcuno (El Shaarawy).
Meglio adesso, i problemi, che più avanti. Oh yes. Questi, però, sono limiti strutturali, legati più alla qualità dei dipendenti che al sistema di gioco. Un nome: Boateng. Scomparso, letteralmente. Nella mia griglia, il Milan figura al quinto posto, dietro Juventus, Napoli, Inter e Roma. Oggi, non è da scudetto: potrà diventarlo, come la Juve un anno fa, ma al posto di Galliani sarei stato più chiaro e meno ambiguo. Il popolo mica è fesso.
Ricapitolando: 0-1 Sampdoria, 3-1 a Bologna, 0-1 Atalanta, 0-0 Anderlecht. E’ il ruolino di marcia di una squadra qualunque. Per la cronaca, e per la storia, è stata azzerata la rosa prima e seconda nelle ultime due stagioni. A far gol pensava Ibrahimovic; a non prenderli, Thiago Silva. E poi Nesta, Zambrotta, Cassano, Seedorf, Gattuso, Van Bommel, Inzaghi. Una Spoon River che prima o poi dovremo smettere di recitare, per il bene dello stesso Milan. Che sa di non essere più «quello», ma non sa ancora cosa sarà .